L’Agenzia delle Entrate con la risposta a interpello n. 27 del 17 gennaio 2022, ha ribadito come la localizzazione all’estero delle strutture societarie debba essere sempre effettiva e genuina.
La disciplina dell’esterovestizione consente all’Amministrazione Finanziaria di presumere (salvo prova contraria) l’esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione di società ed enti che detengono direttamente partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali residenti in Italia, quando, alternativamente sono controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o sono amministrati da un
consiglio di amministrazione o altro organo di gestione equivalente, formato in prevalenza da membri residenti nel territorio dello Stato.
Nel caso di specie una società estera Alfa era non solo amministrata da due persone fisiche, di cui una residente in Italia e l’altra all’estero, ma anche controllata per il 51% da una società italiana.
L’art. 73, comma 5-bis, TUIR stabilisce che, salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, c.c., nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:
- sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, del c.c., da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
- sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
Pertanto, la presunzione relativa dell’esterovestizione opera nel momento in cui la società estera, controllante una società italiana, sia a sua volta controllata o amministrata da soggetti italiani.
L’Amministrazione Finanziaria sottolinea come il concetto di esterovestizione vada distinto in maniera netta da quello di residenza fiscale di una società ex comma 3 art. 73 del TUIR. Infatti, quest’ultima fattispecie sussiste quando la società abbia nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta o l’oggetto principale la sede legale o la sede dell’amministrazione.
Conseguentemente, potrebbero sussistere senza difficoltà ipotesi in cui una società, non esterovestita, debba essere considerata dal fisco come italiana, essendo solo fittiziamente localizzata all’estero.
Nel caso di una società italiana, controllata da una holding estera, al fine di determinare con precisione l’effettiva residenza fiscale, sarà necessario effettuare un accurato controllo sulla catena partecipativa e sulla residenza dei componenti dell’organo amministrativo.
Occorre aggiungere che, recentemente, con la sentenza n. 4463/2022, anche la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di esterovestizione.
I Giudici di legittimità, confermando il giudizio della CTR Lombardia, hanno affermato come sia onere dell’Agenzia delle Entrate, essendo l’art. 73 comma 5-bis del TUIR una norma avente finalità antielusiva, dimostrare che il fine principale del contribuente sia stato quello di ottenere un indebito vantaggio fiscale.
In sostanza, sul contribuente non grava alcun tipo di impedimento circa la possibilità di scegliere la miglior soluzione per ottenere un maggior beneficio: una localizzazione straniera può essere oggetto di violazione della normativa nazionale solo qualora risulti essere puramente artificiale e fittizia, in quanto priva di sostanza economica, avendo come unico scopo quello di ottenere un trattamento fiscale di favore.